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La Salvia Bianca
12/02/2016


Tutti noi abbiamo familiarità con la salvia, sia a livello di cucina che a livello di medicina naturale. La salvia comune, appartenente alla famiglia delle Labiatae, si presenta come un arbusto sempre verde: ha un fusto eretto, che può raggiungere al massimo 70 cm e le foglie hanno una caratteristica forma (sembrano piccole lance, lunghe e abbastanza affusolate) e si presentano piuttosto spesse e dure.

La pianta è conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà a livello di salute, ciò che spiega il suo nome, proveniente da “salvus” che significa appunto “sano”. Gli antichi Galli ritenevano che la salvia avesse la capacità di guarire tutte le malattie e che agisse efficacemente da “deterrente” contro febbre e tosse.

Alcuni addirittura credevano che avesse il potere di resuscitare i morti e per questo veniva anche utilizzata nella preparazione di riti magici.

Per i Romani era una pianta sacra: esisteva un vero e proprio rito per la raccolta (che spettava a pochi eletti), i quali dovevano addirittura indossare un abbigliamento particolare dopo aver compiuto sacrifici.

I cinesi ritenevano che la salvia fosse in grado di “regalare” la longevità: nel XVII secolo, un cesto di foglie di salvia veniva scambiata dai mercanti olandesi con tre cesti di tè.

Nella medicina popolare, già nel Medioevo, veniva usata come cicatrizzante sulle ferite e piaghe difficili da rimarginare.

Alla stessa famiglia della salvia officinale, tanto comune nell’area mediterranea, appartiene una varietà detta apiana conosciuta comunemente col nome di salvia bianca, nativa del sud-ovest degli Stati Uniti e della zona nord-occidentale del Messico.

Coi semi di questa pianta i nativi preparavano dolci ed alimenti dalle proprietà curative nonchè ne utilizzavano le radici nella preparazione di decotti corroboranti, ma il suo uso principale era nella ritualistica, si pensava infatti che le foglie di salvia bianca avessero il potere di eliminare ogni squilibrio energetico sia dal punto di vista magico che a livello di medicina olistica.

Il suo potere di purificazione era considerato alla stessa stregua di un farmaco, infatti in queste culture la malattia era considerata figlia più di uno squilibrio emotivo/emozionale o vibrazionale che causata da agenti esterni strictu sensu.

Ancora oggi nelle cerimonie sciamaniche degli indiani d’America questa pianta è imprescindibile e anche in Europa, sempre di più, molti hanno riscoperto le antiche tecniche di defumazione proprie di quelle antiche culture.

Per procedere alle defumazioni normalmente si preparano degli smunge, ovvero dei piccoli fasci di erba fissati da fili di cotone. Questi vengono accesi permettendo una combustione lenta che rilascia molto fumo, ma si possono anche sbriciolare le foglie sui classici carboncini auto combustibili da turibolo.

Le ceneri che avanzano vanno poi tradizionalmente gettate in acqua corrente o sparse nella terra.

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