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XANGÔ, FUOCO E PIETRA
22/02/2012


Xangô è la giustizia, l’ordine e l’equilibrio, ed ha tutte le caratteristiche del mitico Giove, sovrano dell’Olimpo greco, Dio degli Dei. Xangô re d’Oyò è uno degli Orixàs più venerati del pantheon Yoruba. La giustizia, che Xangô rappresenta, non é l’apparato legale di una nazione, va molto oltre la comprensione umana. E’ la Legge universale di Dio, anche se talvolta s’identifica con quella di una tradizione o di una cultura. L’uomo tende spesso a giudicare ingiusto ciò che lo coglie impreparato o va contro le sue speranze ed i suoi progetti.  La morte prematura di un figlio è ingiusta e innaturale agli occhi dei genitori; in realtà è un evento naturale per una Legge che trascende la giustizia umana.
L’arma di Xangô, un’ascia a due lame, esprime fortemente il concetto della relatività della giustizia terrena, infatti, ciò che è giusto oggi può non esserlo domani. Sulla terra il tempo é creato dall’uomo, ma in Xangô é presente un orologio le cui lancette sono d’Ifá, il Signore del destino, che governa su tutta la creazione.

Deciso, forte e valoroso è il simbolo delle istituzioni, della stabilità e del buon governo. Padre all’antica, autoritario, deciso e irremovibile è l’uomo d’onore per eccellenza. Xangô galante e donnaiolo è lo sposo delle belle Obá, Oxúm e Yansã, i tre fiumi della Nigeria.

Il dominio del potente Signore delle pietraie si estende al fuoco, ai tuoni, ai fulmini e alle rocce; Lui può essere esplosivo come un vulcano, la sua voce è quella del tuono di cui è padrone.

“Caò kabiecilè!” si dice quando si avvicina la tempesta “Ekuà, Ekuà meu Pai [1]”. La furia del roboante Xangô é terribile, non conosce lim,iti o misure di sorta. Solo Oxalà, riesce a calmare questa forza della natura e placare la sua ira: perciò, se avete sentore che l’ira di questo Orixà si é abbattuta su di voi rivolgetevi subito al Capo delle Sette Linee chiedendo umilmente, con un ebò appropriato, il suo soccorso, per evitare seri guai.

Passione cieca, smodato desiderio, tradimento, tracotanza e violenza sono i difetti più evidenti di Xangô, che, per alcune caratteristiche è molto simile al grande Ogum. Secondo la leggenda, originariamente Xangô e Ogum indossavano entrambi una collana di perline rosse; fu il vecchio Oxalufá [2] (Igba Ibò) ad incoronare Xangô come quarto re del regno d’Oyò, e a donargli una collana di sei perline bianche e sei rosse alternate, per rilevare la sua stirpe regale.

Si racconta che il re del regno d’Oyò fosse sempre in guerra con i popoli confinanti, sui quali riusciva sempre ad avere la meglio. Un giorno giunsero nel suo regno due guerrieri delle città assediate; Túnin, chiamato anche Agbalé Olofa Inán “Colui che scaglia frecce di fuoco” e Gbonkà, che era alto e forte come un gigante. I due chiesero all’imbattibile re d’Oyò insegnargli la vera arte della guerra.

Xangô accettò, ma si limitò negli insegnamenti, temendo una futura rappresaglia, anche perché i due giovani guerrieri, acquisivano ogni giorno sempre più fama e reputazione presso il suo popolo. Giunse infine il giorno della guerra e Agbalé Olofa Inán e Gbonkà, davanti ai dodici ministri istituiti da Xangô dissero, che erano disposti anche a morire per provare la fedeltà al loro re e che Xangô, se lo desiderava, poteva togliergli subito la vita, con la sua stessa mano. Detto fatto il Re dei tuoni, fece costruire una pira e ordinò che fossero bruciati vivi. Preparato il rogo, i due giovani, secondo la volontà di Xangò furono gettati fra le fiamme, ma per incanto il fuoco non lambì neppure la loro pelle. Irritato il Re di Oyò, decise che dovevano camminare sui carboni ardenti, ed i due eroi superarono anche quella prova. Adirato, Xangô ordinò che fossero gettati nell’olio bollente; nulla, i due resistettero anche a quella feroce tortura. Demoralizzato per l’errore commesso e umiliato, il Signore dei tuoni, sparì davanti alla folla stupefatta e disorientata da quei prodigi. I giorni che seguirono furono i peggiori a memoria d’uomo, per il regno d’Oyo, che vide esplodere una terribile violenza tra la sua gente; nascite di bambini deformi; lampi e tuoni paurosi e saette minacciose serpeggiare nei cieli. Tutti imputarono questa serie di disgrazie a Xangô: “È diventato un Orixá!” dicevano impauriti.

Túnin e Gbonkà tornarono ai loro paesi, sparirono nel frattempo anche Oxúm e Oyá, le due favorite di Xangô. I Mangbàs, che erano i ministri del regno, interrogarono i sacerdoti che confermarono i sospetti del popolo, il loro Re era diventato un Orixà. Fu subito istituito un culto per il nuovo Orixà, al quale attribuirono a livello spirituale, le stesse preferenze personali che Xangô aveva in vita: gli offrirono i cibi, le bevande, gli oggetti che più amava nel tentativo d’imbonirlo. Subito le tempeste si placarono, finirono le violenze e la gente ritrovò la pace. I Saggi organizzarono così un consiglio di nuovi ministri, che incaricarono di mantenere per sempre vivo, il culto del nuovo Orixà, “Xangò”. I ministri scelti erano i vecchi re, principi e governanti dei territori conquistati dal prode Xangô quand’era in vita.

Nel Candomblé il ricordo di questo “Consiglio” è mantenuto nel gotha dei dodici Ogãs [3] più vecchi del Terreiro. La superiorità e il prestigio degli Ogas si evidenzia ancor oggi é indispensabile, infatti, chiedere la loro opinione prima di prendere qualsiasi decisione. Alla morte di un Ogas, la carica passa subito ad un altro, affinché il loro trono (sono seduti alla destra e alla sinistra del sacerdote), non sia mai vacante.

Nel Jogo do búzios, [4] Xangô parla nella dodicesima Odu, chiamata Ejila Xeborá, e dodici sono anche le sue manifestazioni e i ministri del suo leggendario regno.

 


[1] Lett. Pietà, Pietà “Padre Mio”.
[2] Metafora del dio in terra, che viene a legittimare la monarchia teocratica di Xangô.
[3] Membri del Terreiro con obblighi rituali.
[4] Oracolo africano a struttura geomantica.


Oferendas

Giorno della settimana: mercoledì
Numero rituale: 4
Curiador: birra scura
Colore: rosso, marrone (Xangô vecchi)
Fiore: garofano bianco, palma rossa
Frutto: mela, banana
Piatto: secondo le circostanze di coccio o di ceramica
Bicchiere: non ne usa. La birra gli va offerta in una bottiglietta di vetro.
Olio: dendê
Amalás: gombos, mais bianco, miele, fagioli dell’occhio
Condimenti: sale, cipolla
Omaggio: sigaro e fiammiferi
Orikí: Caò Kabiecilè

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