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La Santisima Muerte
01/07/2011

In Messico il culto della Santa Muerte prende consistenza e si diffonde ogni giorno di più. Questa tradizione coniuga pratiche cattoliche con antiche credenze funerarie del popolo Azteco, in una forma unica di sincretismo dove religione, spiritualità, fede e brujerìa (stregoneria) diventano un tutt’uno inscindibile in un crogiuolo mistico di grandissima portata emotiva.

Inoltre, come altri fenomeni religiosi sincretici di confine (quali ad esempio la santeria cubana negli Stati Uniti, o il culto quimbanda delle metropoli brasiliane), si esprime come simbolo di potere e di rivalsa delle classi subalterne contro le classi bianche dominanti. La sua natura religiosa trascende dunque la vera spiritualità, assumendo una portata sociologica grandissima.

Il culto alla Santisima Muerte è fondamentalmente una tradizione iniziatica, passata tramite lascito o herencia [1] da un altro membro iniziato al culto medesimo. Il velo di mistero e segretezza che ha sempre accompagnato queste pratiche spirituali ha favorito la nascita di leggende e spauracchi che in realtà sono alieni alla natura religiosa di base.

Alcune persone credono che fare richieste alla Santisima Muerte comporti un prezzo molto alto, quello della vita di una persona cara, pertanto aborriscono solo nominarla e ne temono il potere che qualificano, inesorabilmente, come tenebroso nel senso deleterio del termine. Questa idea è completamente aliena alla reale natura devozionale della Santa Muerte: la Santa Muerte non si porta via la vita di nessuno (a meno che non sia giunta la sua ora e questa decisione non è pertinenza sua), né tanto meno quella di un suo fedele devoto.

La nascita di questa idea è da rintracciare, probabilmente, nel fatto che alcune persone -per ignoranza o stupidità- in passato come ai giorni nostri, giurano sulla vita di un proprio famigliare o lo pongono come garanzia della parola data. Ma questa pratica è estranea al culto della Santa Muerte, la cui essenza gnostica è fondamentalmente positiva e luminosa.

Nell’agiografia cattolica non esiste nessun santo che corrisponda a questa figura eppure, nell’iconografia come nelle orazioni, le citazioni alla Morte sono numerosissime. Ora viene vista come sorella, ora come liberatrice dagli affanni, ora come porta del Cielo, ora come angelo ora come estrema giustiziera, in quanto deputata alla consegna delle anime a Dio Padre.

Per il fedele la Morte non è che un passaggio, un istante, una porta attraverso cui le anime possono accedere al regno dei Cieli o varcare la soglia degli Inferi. La giustizia umana può commettere errori, ma alla Nera Signora nessuno può sfuggire e di fronte a Lei tutto appare fugace e fatuo, dal momento che dopo di Lei c’è solo il Giudizio di Dio dal quale le raccomandazioni e gli escamotages terreni non possono salvare. Ecco perchè è considerata Giusta e Santa (o Santificante), perchè la sua missione la pone decisamente super partes.

Un ringraziamento particolare va sicuramente a Narciso Ngando, patriarca dell’Orden de la Santisima Muerte di Villar del Rey, senza il cui prezioso contributo e i validi consigli questo testo non avrebbe potuto essere scritto.

Storia della devozione alla Santisima Muerte

Gli abitanti del Messico preispanico percepivano tutti gli elementi della natura come divinità, che dovevano essere onorate tramite differenti tipi di sacrificio.

Ai dignitari del culto spettava l’onere di vegliare che tutti i rituali necessari fossero portati a termine per far sì che il sole sorgesse ogni mattina, che le stagioni si succedessero in modo regolare, che la terra desse i propri frutti, che la pioggia fertilizzasse i loro campi e tutto quanto seguisse il giusto corso con equilibrio.

Gli aztechi –uno dei gruppi su cui si hanno maggiori informazioni- annoveravano nel loro pantheon parecchie divinità deputate a mentenere l’ordine cosmico in equilibrio.
Tra queste possiamo segnalare Huitzilopòchtli (dio del sole) che si credeva avesse accompagnato il popolo, dopo interminabili peregrinazioni in vari luoghi, a Tenochtitlàn (sorta di terra promessa); Tlàloc (dio della pioggia), intimamente legato alla produzione dei raccolti agricoli; Quetzalcòatl (dio della creazione) associato al pianeta Venere, e Coatlicue (madre di tutti gli dei), legata alla terra, alla vita e alla morte.

Una delle offerte più importanti che venivano fate agli dei era il sacrificio umano, attraverso cui l’uomo, tramite il proprio sangue, “collaborava [2]” alla preservazione del mondo da una “fine” sempre alle porte. Spesso era legittimato anche una sorta di sacrificio volontario, un suicidio sacro per offrire il proprio sangue agli dei in cambio di favori per la comunità.

Oltre a questo genere di sacrificio agli dei venivano fatte offerte di alimenti, incenso, coppale e ogni divinità veniva poi onorata con una festa annuale.

Secondo il mito il mondo che abitavano sarebbe stato distrutto da terremoti. Questa catastrofe aveva maggiori possibilità di verificarsi ogni cinquantadue anni, quando il loro calendario completava il suo ciclo temporale.

Ed era proprio in questa ricorrenza che avvenivano la maggior parte degli omicidi rituali, effettuati sulla cima di un monte a fianco di una grande pira –simbolo del fuoco nuovo- da cui veniva prelevata la fiamma per accendere le lampade dei templi e di tutte le case, metafora di un sole che avrebbe illuminato per un altro mezzo secolo le loro mattine sorgendo puntuale ogni giorno.
Erano i sacerdoti –profondi conoscitori delle arti magiche- i principali incaricati della preparazione di queste grandi cerimonie, ma questi non erano gli unici operatori del sacro, c’erano altre persone incaricate di realizzare i rituali per gli dei: i ticitl si occupavano di trovare le cause delle malattie che, nella maggior parte dei casi si credeva fossero inviate dalle divinità. Diagnosi e trattamento dipendevano intrinsecamente dall’identità del dio che aveva causato l’infermità.

Sacerdoti e ticitl operavano in favore della comunità, avevano una funzione sociale ben precisa e riconosciuta anche dagli altri poteri governativi come indispensabile e giusta. Oltre a loro, tuttavia, esisteva una schiera di altri individui che, come avveniva in Africa e in altre culture, dotati di conoscenze magiche ed esoteriche, agivano a proprio beneficio e utilizzavano i loro poteri per danneggiare il prossimo con fini egoistici e non in favore del benessere della società. Questi agivano sotto l’egida del dio Tezcatlipoca (considerato un dio guerriero e vendicatore, signore del cielo notturno).

Con la conquista spagnola e l’introduzione del cattolicesimo in Messico, il panorama della religione e le credenze magiche subirono un cambio di considerevole importanza. Successivamente alla conquista fisica propriamente detta, i missionari evangelizzatori si prodigarono in una seconda conquista, quella spirituale, imponendo una religione che inevitabilmente si fuse con le loro antiche credenze e alle pratiche magiche: il culto dei santi associato a storie miracolose e al sacrificio fisico dei devoti trovava strabilianti analogie con certe pratiche religiose di autosacrificio. Fece la sua comparsa il diavolo, figura completamente aliena alla precedente religione azteca (dal momento che gli dei erano per natura buoni o cattivi a seconda delle circostanze) e venne associato a tutte quelle pratiche magiche che avevano una connotazione antisociale o comunque atta ad apportare danno al prossimo.

In un primo momento i culti e gli dei indigeni, uniti alle credenze di tipo magico, furono considerate dai conquistatori e dai missionari come pratiche sataniche, pertanto si prodigarono in una minuziosa distruzione di quelle tradizioni che ai loro occhi altro non erano che eresie: sacerdoti e specialisti del sacro furono disprezzati e perseguitati, come tutti coloro che si ostinavano a portare avanti le credenze dei loro padri.

Molti luoghi di culto vennero distrutti, altri furono cristianizzati, sostituendo alle immagini pagane figure del Cristo, della Vergine o di Santi che, nell’iconografia, presentassero affinità con quelle delle antiche divinità, in modo da facilitare l’assimilazione, da parte della popolazione conquistata, del nuovo credo religioso.
Questo processo di epurazione diede luogo ad un processo sincretico tutt’ora presente.

Gli evangelizzatori spagnoli, cercarono di sradicare completamente ogni antica vastigia pagana, dietro la quale vedevano lo zampino del diavolo, e tacciarono di stregoneria [3] ogni cosa che risultasse incomprensibile al loro modo di percepire [4] il reale e il trascendente.
I curanderos (guaritori) e i medici indigeni furono accusati di avere stipulato patti col diavolo, quando in realtà erano solamente grandi conoscitori delle varie piante medicinali che utilizzavano nelle loro cure. Il problema nasceva dal fatto che questa gente aveva un concetto olistico del cosmo, e non poteva immaginare una cura corporale svincolata da una preghiera agli dei o da un’offerta sacrificale. Fu restaurato così il Santo Ufficio dell’Inquisizione, che in Spagna era attivo dal secolo XIII., per imporre con la forza il cristianesimo.

Per i conquistadores spagnoli i brujos e le brujas altro non erano, tout court, che persone che avevano votato la loro anima al demonio. Così li accusavano di utilizzare bambole per effettuare i loro sortilegi, rospi e galline nere per affatturare, erbe velenose per scatenare potenti incantesimi e altre idee magiche di contatto con le forze occulte che tanta popolarità godevano nell’Europa del sedicesimo secolo. Per buffo che possa sembrare furono proprio loro a trasmettere certi concetti di occultismo alle popolazioni indigene.

Come accennato poche righe fa inizialmente le due culture religiose, quella indigena e quella cristiana, viaggiavano su binari differenti, ma poco a poco si unirono.

Il panorama attuale della magia -ma sarebbe più corretto parlare di spiritualità- in Messico, oggi, è il risultato della fusione delle tradizioni occulte degli indigeni preispanici e quelle degli spagnoli che arrivarono nel periodo successivo la conquista, un po’ come avvenne col Vaudou di Haiti, con la Macumba brasiliana e altre tradizione a matrice sincretica dell’area caraibica.

Le antiche divinità pagane vestirono gli abiti di santi cattolici dietro cui si celarono fino al punto di fondersi con essi; accanto ai santi ufficialmente riconosciuti ne comparvero altri che, estranei al calendario cattolico, sono però presenti in quello popolare. La Santisima Muerte è da annoverare, in un certo senso, tra questi, anche se il suo ruolo di distacco e il grandissimo potere che le viene attribuito, la distingue da altri personaggi quali Santa Clara Lavandera, San Deshacedor, Santa Librada.

Secondo l’antropologa Ortìz Echeniz, autrice del saggio “Una religiosidad popular en México”, il culto alla Santissima Morte, negli ultimi vent’anni, si è incrociato, oltre che con i santi cattolici, anche con altre tradizioni esterne quali la santerìa e il vaudou.

L’epiteto di Signora delle Tenebre non implica una connotazione “cattiva”, è semplicemente un termine qualificativo. Le tenebre a cui si fa riferimento non sono le tenebre del male, ma quell’abisso sconosciuto che precede la nascita della vita e segue la vita stessa. Questo abisso misterioso, dal quale di regola è impossibile tornare, è insondabile, non può essere visto, pertanto è permeato da un alone di mistero, di tenebra, appunto.

Il fatto che l’immagine della Santissima Morte abbia riscontri con l’Orishà Oyà e il Loa dei cimiteri Baròn Samedi non significa assolutamente che possa essere equiparata a questi spiriti che, parte di differenti strutture religiose e di differenti concezioni cosmologiche e cosmogoniche, non possono essere tout court associati alla Santisima.

Nella santeria la morte è chiamata Ikù ed è un’entità a cui non viene devoluto culto specifico. Oyà è la guardiana delle porte del cimitero e domina gli egùn, i morti, ma non è lei stessa Morte.
Baròn Samedi sovraintende alla morte e ai cimiteri, assolve alcuni compiti associati alla Santissima Morte, ma ancora una volta non è, lui stesso, propriamente morte.

In pressochè tutte le culture della terra la figura della Morte occupa una posizione di distacco: possono cambiare gli dei, le strutture religiose, le concezioni ultramondane, ma la Morte è una costante presente ovunque e il suo potere è riconosciuto da tutti indipendentemente dal loro credo religioso. Si può dubitare di un profeta o avanzare ipotesi sulla veridicità di certi dogmi o di determinate verità di fede, ma la presenza della morte è un fatto su cui tutti sono d’accordo e la sua potenza, alla lunga, è riconosciuta da tutti. Di fronte a questo non appare così strano un culto che verta su tale figura.

 


[1] Letteralmente herencia significa “eredità”.
[2] Nella maggior parte dei casi le vittime sacrificali erano prigionieri di guerra e questo fatto è di fondamentale importanza per l’antropologia culturale nella comprensione corretta di questa cultura. Cfr Harris M. Antropologia Culturale, Zanichelli, Bologna 1991, p.268
[3] Fenomeno per altro tipicamente europeo con connotazioni spazio temporali ben precise.
[4] Il modo di percepire le cose della religione catolica del secolo sedicesimo, impregnato di superstizioni e timori.

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