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La Mandragora
14/07/2011


A livello botanico la mandragora è una pianta erbacea perenne, emicriptofita, acaule. È dotata di una grossa radice a fittone, di aspetto grossolanamente antropomorfo
Le foglie, di forma ovato-oblunga, corrugate, sono disposte a formare una rosetta basale al centro della quale, in autunno, è presente un ciuffo di fiori peduncolati, con corolla violacea, imbutiforme, lunga 3-4 cm, suddivisa in 5 lobi.

Il frutto è una bacca ovoidale, di colore giallo-arancio, lunga fino a 3 cm. Fin qui la fitologia botanica. Nel corso dei secoli però questa pianta è stata circondata da un alone di mistero, in special modo a causa della curiosa forma delle sue radici che ricordano in maniera impressionante una sagoma umana.

Proprietà esoteriche

Fin dall’alba dei tempi, la Mandragora ha costituito un elemento indispensabile per le pratiche magiche e spirituali di molte culture.

La Mandragora ha un curioso aspetto antropomorfo, che secondo una leggenda è derivato dalla sua appartenenza al regno animale e vegetale insieme. La forma della radice, che in alcuni esemplari è completa di protuberanze che ricordano i genitali maschili, ha fatto sì che la Mandragora venga considerata afrodisiaca; nella cultura Voodoo viene utilizzata per la costruzione di feticci per fatture d’amore e maledizioni, alle quali dona l’indispensabile potere esoterico.

Questa pianta ha tantissime proprietà curative: si dice che guarisca l’epilessia, il “mal di luna” (ossia la licantropia clinica), può scacciare i demoni, ed ha sempre avuto una valenza ambigua, in quanto, pur essendo vero che la sua radice posta sotto il letto di un malato ne guarisce il corpo e l’anima, essa può, nello stesso tempo, portare a perdizione; può donare un sonno ristoratore, ma provoca anche pazzia; può uccidere, ma è anche un rimedio contro il veleno dei serpenti: è in definitiva una vera e propria bilancia sospesa fra incertezza ed ambiguità.

Si sostiene che se la radice raccolta, purificata e resa il più possibile simile all’uomo verrà abbigliata, vezzeggiata, accudita, le verranno offerti pasti più volte al giorno e verrà ubicata in una degna collocazione, essa procurerà felicità, ricchezze e salute, scaccerà le forze negative, aiuterà a ritrovare gli ori nascosti e sarà una cura per tutti i mali.

In ambito magico la Mandragora è adatta per aumentare i poteri psichici, ad esempio attraverso bagni rituali in cui aggiungere all’ acqua del bagno: un litro di acqua bollita con radice di mandragora in unione a 50 grammi di foglie di salice, 7 pizzichi di origano e 7 cucchiai di miele.

La radice di mandragora può essere usata per ungere le candele usate nei rituali o per la creazione di oli atti alla seduzione, insieme a 7 chiodi di garofano e 7 rose rosse.

La Mandragora è di natura un potente talismano, con la quale vengono costruiti amuleti e sacchettini di protezione per la difesa attiva, per attrarre il denaro, per la seduzione, contro l’impotenza o per assicurarsi la fedeltà dell’amato o dell’amata.

L’incenso creato con la radice di questa pianta magica in unione con una parte di aconito, una di elleboro nero, una di belladonna, una di giusquiamo e una parte di olio di mandorle amare è utilizzato per entrare in contatto con la Dea Ecate (infatti è la pianta sacra di questa dea, è collegata alla notte e quindi anche ad Artemide, Diana e alla luna); per operazioni di difesa si usa insieme a una parte di grani di incenso, di foglie di salvia, peperoncino e 13 gocce di olio essenziale di iperico; per l’amore passionale, insieme sempre ad una parte di grani di incenso, una di petali di rosa e 13 gocce di olio essenziale di verbena.

La radice di questa pianta è efficacissima per fissare alcune forze astrali elementari.

È la pianta delle Streghe, dalla quale ricavavano una magica bevanda utilizzata per i Sabbat; le sacerdotesse dell’antico Egitto la consumavano durante la grande festa della dea Hator. È chiamata ‘Pianta Sacra e Maestra’, ‘Chiave d’Accesso’ agli stati di trance per gli antichi maghi iniziati, sciamani e moderni psiconauti.

La Mandragora come radice caratterizza, nell’esperienza enteogenica, la connessione purificatrice delle zone più profonde e insondabili dell’astrale.

Da tutto ciò si evince che non vi può essere alcun rito esoterico efficace senza la preziosa e prodigiosa Mandragora, pianta dai poteri infiniti.

 

Il Mito

La relazione tra l’uomo e le piante magiche è stata rappresentata in miti, leggende e credenze. Miti particolari sono quelli che narrano l’origine di tali piante, l’origine dell’uomo da esse e quelli che riportano un loro specifico utilizzo, in genere legato a un culto. E’ possibile incontrare miti differenti per una stessa pianta e differenti versioni per uno stesso mito, a seconda delle differenze culturali tra popoli di origine diversa che impiegano la stessa pianta. Inoltre, un mito può avere subito, nella sua costruzione, influenze e interpretazioni da parte di culture esterne, perdendo così le sue caratteristiche originarie e trasformandosi in racconto o storia. Nel presente articolo sarà discussa la dimensione mitica della pianta magica per eccellenza, la mandragora, attraverso un’analisi dei principali documenti disponibili.

Tra tutte le piante tradizionalmente considerate magiche, sicuramente la mandragora (Mandragora officinarum o Mandragora autumnalis) è una delle più importanti, con una storia lunga e complessa che ha lasciato testimonianze in differenti parti del mondo. La mandragora aveva (ed ha tutt’oggi) anche un impiego medicinale, afrodisiaco e psicoattivo.

In Oriente, è citata nel Vecchio Testamento in Genesi e nel Cantico dei Cantici con il nome di dudaim, “amore e paura”. Nel primo episodio, Rachele, disperata per non avere figli, supplicò Lea di darle una delle mandragore trovate dal figlio Ruben, concedendole in cambio il marito per una notte. Nel secondo episodio, Shulammite invita il suo amante ad andare nei campi dove crescono le mandragore. Flavio Giuseppe, nella Guerra Giudaica, menziona una pianta nota come baaras, “ardore”, probabilmente la mandragora, che “[…] verso sera emette una luce brillante, elude le persone che tentano di raccoglierla, a meno che non si pongano su essa certe secrezioni del corpo umano […]. Applicata al paziente, la radice fa espellere i demoni”. Un nome significativo è quello attribuito nell’Arabia preislamica, cioè abu ‘lruh, “signore del respiro vitale” o “signore dello spirito”, a indicare la carica spirituale della mandragora e probabilmente la sua identificazione con una divinità. Con l’avvento dell’Islam, ritroviamo Tufah al-jinn, “mele del demonio”, Baydal-jinn, “testicoli del demonio” e anche “candela del diavolo”. Questo valore negativo attribuito dagli Arabi alla mandragora si ritrova in una formula per la preparazione di un veleno a base di radici decomposte della pianta. In Persia, il nome è sag-kan, “scavata da un cane”.

Nell’Europa medievale, alla mandragora furono attribuiti numerosi epiteti, per esempio “mela di Satana”, “testicoli di Satana”, “mela dello stolto” e “mela dell’amore”. Per i Germani era nota come Drachenpuppe, “pupazzo-dragone”, e Galgenmännlein, “piccolo uomo delle forche”, mentre in Islanda come thjofarot, “radice dei ladri”. Altre denominazioni ricordavano l’effetto narcotico e le streghe. Una della caratteristiche della mandragora che suscitò la fantasia degli antichi fu la somiglianza della sua radice con la figura umana. Sembra che sia stato Pitagora uno dei primi a descrivere la radice come antropomorfa.

E come per tutte le piante magiche, estirparla era pericoloso. Occorreva seguire un preciso rituale e rispettare certe precauzioni. Teofrasto di Lesbo, poi ripreso da Plinio il Vecchio, scrive che per raccoglierla bisogna tracciarle attorno tre cerchi con una spada e tagliarla rivolgendosi a ovest. Tagliandone una seconda parte, si dovrebbe danzarle attorno e dire “quante più cose è possibile sui misteri dell’amore”. Durante il Medioevo, il rituale prevedeva di recarsi sul posto il venerdì al crepuscolo, con un cane nero affamato. Dopo essersi tappate le orecchie, si facevano tre segni di croce sulla pianta, si scavava attorno e si poneva attorno alla radice una corda, poi annodata al collo o coda del cane. Poco lontano si poneva del cibo per l’animale, il quale strattonando staccava la radice che emetteva un grido. In questo modo, il cane moriva al posto dell’uomo.

Stando alle testimonianze archeologiche, questa pianta era già nota agli antichi Egizi a partire dal XIV secolo a.C. Ricordiamo la scena di raccolta di radici di mandragora rappresentata sul sarcofago di Tutankhamon e le scene nella tomba di Ramses II. In quest’ultimo caso, la mandragora è accompagnata dalla ninfea e dal papavero da oppio, anch’esse piante dotate di proprietà psicoattive. Sembra che queste tre piante fossero utilizzate in combinazione per preparare un unguento in grado di indurre stati ipnotici, di trance ed estatici.

Nell’Europa medievale, la mandragora era un probabile ingrediente degli unguenti delle streghe. È stato infatti riportato da alcuni sperimentatori che i principi attivi contenuti nella pianta possono provocare la sensazione di volare e di viaggiare in posti differenti da quello in cui ci si trova, offrendo così una possibile interpretazione al volo delle streghe verso il sabba.
Si credeva che il solo odorarla poteva indurre al sonno. Celso consigliava di porla sotto il cuscino per addormentarsi e anche Apuleio, Luciano e Plinio il Vecchio confermano questo fatto. Plutarco riporta che le più belle mandragore crescono ai piedi delle viti e che il vino ottenuto da queste vigne ha grandi proprietà ipnotiche. Anche Filostrato descrive la mandragora come soporifera. Inoltre, Demostene e Platone paragonano i quieti cittadini ateniesi a degli “ubriachi di mandragore”, fatto confermato da Pindaro e Senofonte. La pianta trova applicazione anche nell’arte militare delle imboscate. Infatti, Frontino scrive che Maharbal, mandato dai Cartaginesi contro i ribelli africani, sapendo che la popolazione era dedita al vino, lo miscelò con mandragore. In questo modo, Maharbal uccise i ribelli o li prese prigionieri mentre giacevano come fossero morti.

In riferimento alle proprietà afrodisiache della mandragora, Afrodite, la dea dell’Amore, era chiamata Mandragoritis. In Egitto, con la pianta si preparavano filtri d’amore per le coppie che desideravano avere molti figli. I Beduini della regione del Negev in Israele la considerano sacra ed è vietato danneggiarla e le donne sterili ne mangiano i frutti immaturi dopo il periodo mestruale, recitando i versi del Corano.

Dioscoride consigliava il vino di mandragora come anestetico in chirurgia, così come Isidoro di Siviglia. Il vino alla mandragora lo si somministrava ai condannati al rogo o alle più diverse torture, usanza forse ereditata dal mondo biblico. In questo modo, la sofferenza era in parte alleviata. Sembrerebbe, poi, che l’effetto narcotico sia stato sfruttato in Palestina per indurre una specie di trance narcotica nei condannati alla crocifissione e probabilmente la spugna che fu data a Cristo sulla croce era imbevuta di vino alla mandragora. L’uso del vino alla mandragora come anestetico in medicina è sopravvissuto in Europa fino all’inizio del XVIII secolo, sottoforma di una spugna bollita in una miscela di vino, corteccia di radice di mandragora, semi di una specie di lattuga con effetti soporiferi e foglie di gelso. Tali spugne erano molto utilizzate dai medici della Scuola Medica di Salerno.

La mandragora era trattata come un vero e proprio essere vivente, avvolta in un panno rosso e posta in una scatola, custodita in un luogo sicuro fuori dalla vista dei curiosi e nutrita periodicamente. Alla morte del possessore, andava in eredità all’ultimogenito dei figli, che deponeva nella bara pane e una moneta d’oro. Si teneva in casa come amuleto per garantire una protezione magica, per divinare, per favorire la fortuna e la procreazione. Usanza comune era di intagliare la radice in forma di essere umano, dando origine alle cosiddette imaguncula alrunica, da Alraune, nome tedesco della mandragora. La stessa Giovanna D’Arco fu accusata di possedere, come talismano magico, una mandragora in forma umana.

In Britannia, una leggenda narra di uno spirito notturno che compare con le dita della mano fiammeggianti. D’altra parte, “mano di gloria” è anche il nome dato alla mano amputata di un uomo morto e usata come torcia magica per commettere furti di notte. Si tratta di un tema popolare del folklore europeo, comparendo in trattati, manuali di stregoneria, resoconti di processi alle streghe e credenze popolari. Per esempio, nel Libro dei segreti di Alberto Magno, l’autore spiega come preparare una mano di gloria. Lo scopo della mano di gloria è “[…]meravigliare coloro ai quali è mostrata e renderli immobili, come fossero morti”. Questa mano, tagliata a un morto e seccata, era usata come portacandela per pratiche occulte. Si dice che la mano brilli di notte, proprio come la mandragora, come la pianta si trova sotto le forche e ha un effetto soporifico simile. Ad Antiochia, Costantinopoli e Damasco, sono state ritrovate radici di mandragora modellate in forma umana. Questo sembra dimostrare che non solo l’uso della pianta è antico, ma che lo è anche il desiderio di accrescerne il potere magico, modificandone la forma. Ancora nell’età moderna, in Armenia, si usa bruciare le radici di mandragora per scacciare gli spiriti maligni dalle case e inalarne il fumo è considerato una cura per la pazzia. Una specie di mandragora è usata, poi, in riti magici nel Sikkim, in Himalaya.

In tempi moderni, le credenze e gli usi della mandragora sono rimasti ancora vivi. In Inghilterra, agli inizi del ‘900, era usata come anestetico e come rimedio omeopatico per la gotta. In alcune zone, i popoli alpini la usano come amuleto protettivo contro il tempo brutto. In Grecia, almeno fino agli anni ’60, le donne sterili portavano parte della pianta al collo per favorire la fecondità e ponevano il frutto o la radice sul proprio corpo durante l’atto sessuale sempre per favorire la fecondità. In Romania, la mandragora era parte di un rito per favorire l’incontro tra uomo e donna.
Da quanto riportato, è possibile ipotizzare una certa “dimensione mitica” della mandragora, essenzialmente rappresentata dai poteri posseduti dalla pianta.

In più, altri dati relazionati riguardano la sua origine divina o comunque miracolosa. Si tratta di elementi comuni a diversi racconti mitici che, nel caso specifico della mandragora, sarebbero stati rielaborati nel corso del tempo, fino a essere riproposti nei racconti, leggende e credenze popolari successive, acquisendo una certa autonomia. In sostanza, vi sarebbe un “nucleo mitico” originario rimasto inalterato e vivo nel suo significato più essenziale. Questa sopravvivenza potrebbe rimandare al significato principale dei miti legati alle piante magiche, in quanto il mito della pianta magica, mediatrice fra il mondo ordinario e quello soprannaturale, fornisce un fondamento all’impulso dell’uomo verso la conoscenza delle forze nascoste della natura.

Nell’antica letteratura mitologica, è citata una pianta magica denominata moly, che alcuni studiosi hanno identificato con la mandragora, anche se l’individuazione è piuttosto discussa. Eustazio riporta un mito di origine del moly. Il gigante Picoloo si era innamorato di Circe e voleva rapirla. Intervenne però il dio Helios, padre della maga, che uccise il gigante: “E dal sangue del gigante sparso sulla terra germogliò il moly, che prende il nome dalla fatica della battaglia”. Ma il suo fiore, dal biancore abbagliante come quello del latte, proviene dall’abbagliante Helios, che vinse il combattimento; la nera radice spunta dal nero sangue del gigante, ovvero, se ne può spiegare la natura col fatto che Circe diviene spettralmente smorta per lo spavento”.

In questo mito incontriamo due temi essenziali, quello della morte violenta e quello della nascita miracolosa, comuni ad altri racconti mitici. L’erica nasce intorno al cadavere di Osiride, la violetta dal sangue di Attis, la rosa e l’anemone dal sangue di Adonis, la melagrana e il timo rispettivamente dal sangue di Dioniso e dei Coribanti, mentre un’altra erba nasce dal sangue di Prometeo. Questo motivo pagano fu ripreso dal Cristianesimo. Infatti, secondo la leggenda, dal sangue del Cristo caduto ai piedi della croce crescerebbero diverse piante medicinali, ma anche il grano, la vite e la mirra.

Nel Medioevo, soprattutto nei paesi germanici, in Francia e in Islanda, era diffusa una credenza secondo cui la mandragora cresceva dallo sperma o dall’urina caduta al suolo al momento della morte di un impiccato condannato ingiustamente.

Il tema della nascita delle piante dallo sperma di un dio o di un essere umano dai poteri eccezionali lo si ritrova specialmente in Oriente. Ricordiamo al proposito la leggenda di Caiumarath. In essa, Adamo, escluso dal Paradiso Terrestre e separato da Eva, sognò di abbracciare quest’ultima. Il suo sperma cadde a terra e da lì crebbe una pianta che prese forma umana e divenne Caiumarath. Caiumarath è stato identificato anche con Adamo e inoltre rappresenterebbe Gayômart, il primo uomo della tradizione iranica. Quando Gayômart morì, il suo sperma cadde in terra e vi rimase per 40 anni, dopodiché da esso nacquero due piante che assunsero una forma umana di maschio e femmina.

La nascita dallo sperma potrebbe rimandare al tema mitico primordiale della ierogamia del dio del Cielo con la Madre Terra, in cui lo sperma assume natura divina, essendo il veicolo dello spirito creatore.

In generale, la morte violenta richiama il motivo mitico della creazione mediante il sacrificio. Attraverso il sacrificio, la nuova vita che ne scaturisce si manifesta in forma superiore e il sacrificato avrebbe ben potuto essere il protagonista di un mito originario.

Trattando delle virtù terapeutiche della mandragora, Ildegarda di Bingen, nella Physica, la definisce “un pezzo di terra che non ha mai peccato”. Secondo alcune interpretazioni di questa definizione, la guarigione avviene tramite una regressione simbolica e rituale alle origini, ai tempi di Adamo nel Paradiso Terreste. Chi ha bisogno di cure ritorna simbolicamente al tempo mitico, al momento della creazione dell’uomo e del mondo. In questo modo, si rinasce nuovamente e si è liberi dalla malattia.
Secondo una certa tradizione mediorientale, forse antecedente al Cristianesimo, la mandragora dalla radice antropomorfa nasce nel Paradiso Terrestre, dove Dio ha creato il primo uomo. Crescerebbe ai piedi dell’Albero del Bene e del Male, con il quale a volte è identificata. In questo caso, la mandragora è associata a un luogo primordiale, dove ha luogo la creazione primigenia. Si tratta quindi di una pianta primordiale e quindi mitica.

In differenti culture europee, arabe e asiatiche, si riporta che l’uomo originò dalla mandragora, in base all’aspetto antropomorfo della radice: “I primi uomini sarebbero stati una famiglia di gigantesche mandragore sensitive, che il sole avrebbe animato e che, da sole, si sarebbero distaccate dalla terra”.

“L’uomo apparve originariamente sulla terra in forma di mostruose mandragore, animate da una vita istintiva, e che il soffio dell’Altissimo costrinse, trasmutò e sgrossò, e infine sradicò, per farne degli esseri dotati di pensiero e di movimento proprio”.

In una leggenda della Siria si racconta: “Quando Dio creò il mondo, si riservò la creazione degli esseri viventi sulla terra, nelle acque e nell’aria; ma, nel suo contratto con Satana, aveva dimenticato il sottosuolo. Lo spirito del Male, geloso del Creatore, volle, anche lui, fabbricare degli uomini e delle donne viventi sotto terra. Il suo genio inventivo, ma incompleto, non portò che alla formazione informe delle mandragore. Dal momento che queste, strappate da terra, penetrano nel regno di Dio, cessano di vivere”.

I primi due racconti rimandano a un preesistente mito di origine dell’uomo, in cui la sua origine è successiva a quella della pianta. La pianta ha una sensibilità, propria di tutti gli esseri viventi, trasmessa poi all’uomo al momento della sua creazione. La leggenda siriana, invece, ricorda il tema della nascita miracolosa mediata da un intervento soprannaturale, in questo caso maligno.
Per quanto riguarda i miti legati all’utilizzo della mandragora, ricordiamo un racconto dell’antica letteratura religiosa egiziana, noto come Distruzione e salvataggio del genere umano. Questo mito non rappresenta solo l’origine di un utilizzo cultuale della mandragora didit, è qualcosa di più. E’ la storia di una seconda nascita dell’umanità, resa possibile attraverso il potere della mandragora.

Limitatamente ai documenti qui discussi, risulta che la dimensione mitica della mandragora è piuttosto complessa e interessa differenti tempi storici e zone geografiche. Come per tutte le piante magiche, il ruolo della mandragora come specie psicoattiva all’interno dei miti relativi non è trascurabile e probabilmente ha influito sulla loro elaborazione. Se non mancano i miti di origine della pianta in questione, quelli riguardanti il suo utilizzo sono piuttosto scarsi. Questo potrebbe essere un campo di indagine da approfondire, soprattutto nell’ambito della cultura europea.

La grande attenzione rivolta alla Mandragora nel corso della storia e in diverse parti del mondo, ha stimolato la ricerca dell’etimologia del suo nome, in relazione alle diverse culture presso le quali trovava utilizzo.

Secondo alcuni, il nome della pianta deriverebbe dalla deformazione dell’espressione mano di drago, riferendosi in questo caso sia all’aspetto della radice che talvolta può effettivamente ricordare la zampa e gli artigli di un drago, sia alla superficie delle foglie, caratterizzate da rilievi carnosi simili alla pelle di un rettile.

A partire dalla sua prima apparizione nel X libro dell’Odissea di Omero (viene donata dal dio Hermes a Ulisse come talismano di protezione contro gli incantesimi di Circe), l’erba moly è stata celebrata a più riprese dagli autori greci e latini, e ha influenzato la fantasia di non pochi autori medievali.

Secondo alcuni studiosi deriverebbe dal sanscrito mandros, “sonno”, e agora, “sostanza”, oppure mandara, “paradiso”. Altri commentatori propendono per un’origine sumerica, da nam-tar, “pianta del dio del castigo”, o tedesca medievale, da mann-dragen, “figura di uomo”, o ancora persiana, da mardumgià, “erba dell’uomo”. Dioscoride, nel De Materia Medica, la chiaman antimelon, archinen e morion, mentre in latino è Mandragoras. Claudio Eliano, nel De Animalium Natura, la chiama cynospastos, “estirpata per mezzo di un cane”, e dice che brilla di notte, la chiama anche aglaophotis, “risplendente”, termine poi ripreso poi da Plinio il Vecchio nella Historia Naturalis.

Altri studiosi sostengono che derivi dal greco e che significhi “pericoloso per le mucche”.

Gli Ebrei la chiamano dudaim, da dum, amore.

Conosciuta dagli Arabi come “mela di Satana”, in passato è sempre stata oggetto di strane superstizioni, sia nell’Europa meridionale che nel Levante.

In ogni caso, proprio per la sua particolare forma, molti sostengono che nel corso del tempo gli furono dati affascinanti e divertenti epiteti come: Anthropòmorphon, Semi-Homo, mela del Diavolo, vecchietto barbuto o addirittura vecchia signora.

Columella la definì “semi umana” e gli arabi la chiamavano “pomo dei Djinn”, ossia degli spiritelli.

Anche il fondatore della medicina, il medico greco Ippocrate, ne è rimasto affascinato e asserisce che il suo nome è di derivazione persiana (mehregiah).

In Asia, nella medicina popolare dell’India, la mandragora è nota come Lakshmana, “che possiede segni fortunati”.

In Francia, la mandragora era nota come main de gloire, “mano di gloria”, o mandragloire, forse dall’unione delle parole mandragora e Magloire, quest’ultimo nome di un elfo del folklore francese, personificato come una radice di mandragora lavorata.

Da tutto questo se ne deduce che è un pianta che oltre a tutte le sue proprietà esoteriche, magiche e curative, ha anche il potere di ammaliare gli uomini nel complicato compito di cercare l’origine del suo nome, essa infatti, rapisce tutti con il suo fascino mistico.

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